ALBERTO RIGHINI

Professore dell'Universtià degli studi di Firenze

Dipartimento di Astronomia e Scienze dello Spazio

 

 


 

La morte ad Arcetri

 

IL PROCESSO

 

La condanna e la severa abiura, accompagnata dal carcere a vita, una sentenza trasformata in sentenza a vita

 

 

 

Siamo nell'inverno del 1633, negli ambienti di Palazzo Firenze a Roma, la sede dell'ambasciata di Toscana presso lo Stato Pontificio. Un anziano e prestigioso filosofo e scienziato attende, in una macerante attesa, giorno dopo giorno di essere chiamato dal Sant'Uffizio per essere interrogato. È costume di quel crudele tribunale arrestare i sospetti e poi lasciarli languire nelle carceri onde fiaccarne qualsiasi resistenza fisica e psicologica. A lui era andata meglio, stava comodo ed era affettuosamente accudito dalla famiglia dell'ambasciatore, ma questo non toglie che fosse molto preoccupato: il libro che aveva appena pubblicato, acclamato da tutti coloro che si intendevano di scienza come un capolavoro, aveva urtato la sensibilità del potente pontefice Urbano VIII che una volta addirittura, quando era ancora giovane ed aveva appena comprato la porpora cardinalizia, si era detto un grande estimatore dello Scienziato.
Poi il tribunale lo chiamò, e lo trattenne nelle sue prigioni, non però come un detenuto qualunque, gli fu dato un comodo appartamento, e fu permesso ad un servitore, mandato da Palazzo Firenze, di aiutarlo a lavarsi e di portargli i pasti e, soprattutto, il buon vino della riserva speciale dell'ambasciatore. Poi ci furono gli interrogatori, gli mostrarono anche gli strumenti di tortura, ma solo per formalità. Improvvisamente poi lo rilasciarono e l'ambasciatore se lo vide tornare, senza essere stato informato del rilascio. Ma poi lo richiamarono di nuovo e lo costrinsero all'abiura e a dichiarare che quanto Lui aveva scritto nel libro era falso, che era erroneo pensare che la Terra si muovesse attorno al Sole e che questi si trovasse al centro dell'Universo. Poi gli fu letta la condanna: il suo libro al rogo e lui imprigionato a vita, a discrezione del Sant'Uffizio.
Il giorno dopo il carcere a vita gli fu trasformato negli arresti domiciliari, a Villa Medici in Roma, alla Trinità dei Monti, e poi a palazzo delle Papesse a Siena, in via di Città, e, infine, al Pian dei Giullari, nella sua casa di campagna, sul colle di Arcetri nei dintorni di Firenze. La casa era vicina al convento dove lui aveva recluso la figlie Virginia e Livia, imponendo loro di prendere i voti come francescane. In quella casa il grande scienziato morirà quasi dieci anni dopo.
Quale era la colpa di cui questo grande Uomo dal prestigioso nome di Galileo Galilei si era macchiato tanto da destare l'interesse di quel crudele tribunale? Un tribunale, ricordiamo, costituito per difendere l'integrità dalla Santa Apostolica e Cattolica Chiesa di Roma contro l'eresia del protestantesimo italiano, estirpata con diligenza e impegno per mezzo di un bagno di sangue e di una lunga scia di sofferenze. La colpa era grande: Galileo aveva pensato con la sua testa, Lui aveva cercato di capire il funzionamento della macchina del Creato non basandosi sulla ingenua narrazione dei filosofi antichi o delle Sacre Scritture, ma sulla intelligente analisi dei fenomeni della natura osservati anche con un portentoso strumento che Lui aveva perfezionato.
Circa quattrocento anni fa Galileo Galilei ebbe la "protervia" di puntare il suo Cannocchiale verso il cielo e scoprirvi cose inaudite come i monti della Luna, i satelliti di Giove, gli anelli di Saturno, le macchie solari e le fasi di Venere. Le scoperte e i suoi studi lo avevano incoraggiato a difendere pubblicamente l'idea che il Sole, contrariamente a quello che si pensava allora, non fosse un astro in moto attorno alla Terra, ma fosse invece la Terra a muoversi insieme agli altri pianeti attorno al Sole, trascinando nel suo moto nello spazio la Luna come Giove trascinava i suoi quattro satelliti appena scoperti. Questa idea era stata proposta per la prima volta nel terzo secolo avanti Cristo dall'astronomo Aristarco da Samo e poi era stata ripresa e pubblicata da Niccolò Copernico nel 1543, prendendo il nome di "Ipotesi Copernicana"
Formalmente questa teoria era contraria alla Sacra Scrittura perché l'Antico Testamento narra che Dio per favorire gli Ebrei, guidati da Giosuè, che stavano combattendo contro un popolo confinante sopraffacendolo, dopo aver bombardato ampiamente questa infelice popolazione con dei sassi, aveva fermato il Sole e la Luna affinché gli ebrei potessero sterminare tutti i sopravvissuti (Antico Testamento Cap. X Libro di Gosuè, capoversi 12, 13,14) . Si diceva, quindi, che, implicitamente, le Scritture affermassero che il Sole era in moto attorno alla Terra potendo essere fermato da Dio. Di conseguenza secondo i teologi Galileo si era arrogato il diritto di insegnare idee contrarie alle Scritture il cui studio ed interpretazione era stato demandato dalla quarta sessione del Concilio di Trento ai soli teologi incaricati dal Papa. Il Papa regnante nel 1616, Paolo V, dette soddisfazione ai Domenicani che erano i più accaniti ad accusare Galileo di idee eretiche, e impose allo Scienziato di non scrivere e di non insegnare la teoria del moto della Terra attorno al Sole. Dopo circa sedici anni da quel precetto Galileo, invece, ne aveva trattato in maniera molto efficace in un libro pubblicato in Firenze con il titolo "Dialogo intorno ai due massimi sistemi del mondo" e da qui il processo davanti alla Santa Inquisizione. Questo comportamento può essere spiegato considerando che Galileo non avesse preso troppo sul serio l'intimazione del 1616 considerata come uno di quei tanti precetti della Chiesa rigidi formalmente, ma sostanzialmente spesso infranti nella pratica senza conseguenze.
Fino a qui la cronaca degli eventi, ma forse i motivi del processo e della susseguente condanna vengono da più lontano. L'analisi politica ci suggerisce che il Papa Urbano VIII che volle il processo a Galileo nel 1633, aveva forse motivi molto più terreni che l'astratta difesa della Fede. Si deve tenere conto che i Papi nella plurimillenaria storia della Chiesa, spesso si sono comportati come sovrani e che spesso utilizzavano il loro controllo delle cose dello Spirito e della Fede per scopi essenzialmente politici, per conseguire vantaggi economici e di potere. Il papa Urbano VIII (al secolo Maffeo Barberini), era stato amico e protettore di Galileo, ma nel 1633 doveva fronteggiare la terribile minaccia dei cardinali spagnoli che avevano deciso di accusarlo di eresia. In effetti Urbano era molto impegnato a proteggere gli interessi economici della propria famiglia e praticava una politica antispagnola e di amicizia con la Francia che a sua volta era amica ed alleata degli Svedesi protestanti. Gli Svedesi in quel periodo stavano combattendo contro gli interessi spagnoli, con alterne fortune, nella così detta guerra dei Trent'Anni. Potrebbe darsi che il Papa abbia cercato scampo dall' accusa rivoltagli processando Galileo per eresia e per la violazione del precetto che gli era stato imposto nel 1616 dimostrando, quindi, di essere un ligio difensore della fede.
Il Sant' Uffizio condusse un processo formalmente duro, ma sostanzialmente clemente, come ne è prova il trattamento riservato a Galileo prima e dopo la condanna. Volutamente nel processo furono ignorati documenti di accusa che avrebbero portato inesorabilmente Galileo sul rogo. Inoltre, la diplomazia del Granduca di Toscana deve avere lavorato molto per cercare di alleviare la sentenza del tribunale. Si deve ricordare che quelli dell'Inquisizione non erano dei giusti processi in senso moderno, non vi erano garanzie per gli accusati e il verdetto veniva deciso sostanzialmente dal Papa a seconda delle convenienze e, quindi, la sentenza, almeno in questo caso, fu essenzialmente politica. Sbagliano tutti coloro che vogliono vedere nel processo a Galileo uno scontro tra Scienza e Fede. Da parte di Galileo la Scienza c'era, invece i motivi che guidavano il Sant'Uffizio erano solo formalmente legati alla Fede, ma erano sostanzialmente basati sulla convenienza politica del Papa pro tempore.
Galileo è morto nel 1642 ad Arcetri sempre costretto agli arresti domiciliari: Urbano VIII impedì che a Firenze gli fossero tributati gli onori funebri che meritava, il suo corpo fu infilato senza cerimonie in una parete di una sacrestia. Ci vollero circa cento anni perché venisse traslato nella tomba costruita dal Foggini sul fianco sinistro della chiesa di Santa Croce. La Chiesa tolse la proibizione di leggere le opere di Galileo, solo nel XIX secolo.

Sentenza

 

Il Processo

 

La Normale di Pisa

 

Casa fiorentina di Galileo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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