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Naturalista - zoologo
   

 

Dalla Foce dell’Isonzo iniziano le aree lagunari

LE ZONE UMIDE COSTIERE
 

Riserve naturali regionali delle Foci dello Stella,
di Valle Cavanata, di Valle Canal Novo e della Foce dell’Isonzo: ambienti unici, valorizzati non solo da strutture idoneeper visite naturalistiche,
ma anche da progetti
di ripristino e di monitoraggio su base scientifica.

 
 
I casoni alle Foci dello Stella
 
 
 
 

er chi proviene da ovest è possibile abbandonare l’autostrada all’uscita di San Giorgio di Nogaro per raggiungere poi, in pochi minuti, l’abitato di Marano lagunare. Chi ha tempo a disposizione potrà prenotare una escursione affittando una imbarcazione, allo scopo di gettare uno sguardo sulla vastissima area lagunare e, più in particolare, sulla splendida Riserva naturale regionale delle Foci dello Stella, che si estende su 1400 ettari circa.
Questa importante zona è stata da tempo riconosciuta quale «zona umida di importanza internazionale», secondo la Convenzione di Ramsar, in particolare per l’abbondanza di uccelli migratori che qui si concentrano. La peculiarità vegetazionale di maggiore rilevanza è rappresentata da un vastissimo canneto a Phragmites australis, interrotto da alcuni laghetti e insenature, pressoché puro alle foci del fiume ma che si modifica gradatamente in formazioni a Scirpus (Bolboschoenus) maritimus o in vere e proprie “barene”, isolotti fangosi tipicamente ammantati da piante alofile, dove la presenza di acque salate si fa maggiormente sentire. Con la funzione di centro – visite di più facile accesso è stata istituita, presso l’abitato di Marano, la Riserva naturale regionale di Valle Canal Novo dove, su un territorio di circa centoquaranta ettari, è stato realizzato un centro di informazione che consente di fornire ai visitatori una sintetica idea dei valori naturalistici presenti nell’area più vasta. Attraverso alcuni percorsi, anche su passerella (la caratteristica “Caminada su l’acqua”) si accede agli osservatori costruiti secondo la tipologia del “casone” lagunare in canna palustre, dai quali è possibile ammirare il paesaggio e l’avifauna.
All’estremità orientale della laguna di Marano e Grado, si estende ancora una “valle” (così sono tradizionalmente chiamate le zone lagunari arginate) di notevole rilevanza ornitologica, pure a suo tempo dichiarata “zona Ramsar”. Si tratta della Riserva naturale regionale di Valle Cavanata (330 ettari).
L’intero specchio lagunare di cui si tratta si osserva bene lungo la statale che collega Monfalcone a Grado e da vari anni a questa parte ospita una consistente popolazione di gabbiani, cormorani, cigni reali e tantissimi altri uccelli acquatici. La vegetazione prevalente è ancora una volta quella alofila, caratterizzata dalla presenza di specie erbacee assai resistenti alla salinità, dai nomi curiosi o significativi, come il cosiddetto statice (Limonium vulgare) o la succulenta salicornia. Nel 1997, per la prima volta da tempi immemorabili hanno qui nidificato, grazie alla tutela accordata, due coppie di spatola (Platalea leucorodia), specie assai rara, accanto a una popolazione di reintrodotte oche grigie (Anser anser).
Poco più a est si estende infine la Riserva naturale regionale della Foce dell’Isonzo, raggiungibile lungo la statale che collega Grado a Monfalcone.
Il fiume di cui si tratta nasce nelle Alpi Giulie in Slovenia e termina qui il suo corso, lungo 140 chilometri. In quest’area – la più settentrionale del Mediterraneo – hanno termine, con Duino, le alte coste rocciose così tipiche dell’Adriatico orientale e iniziano le coste basse e le lagune che, comprendendo Venezia, si estendono a sud-ovest fino al sistema deltizio del Po, a formare uno tra i complessi di zone umide tra i più importanti del mondo.
La riserva naturale è situata dunque in un sito con caratteristiche bio-geografiche, ma anche storiche, uniche e irripetibili. L’area protetta si sviluppa oggi su ben 2350 ettari e ha il suo nucleo principale in corrispondenza della cosiddetta “Isola della Cona”, situata nel Comune di Staranzano.

 
Migliaia di oche e anatre frequentano, in inverno, la Riserva naturale della Foce dell'Isonzo
I grasiui, tipici strumenti della pesca lagunare
Un casone nell'ambiente di laguna
 
Con superfici minori concorrono alla formazione della riserva anche i comuni di Grado, con la zona palustre del “Caneo” e una porzione della imponente “barra di foce fluviale”; San Canzian d’Isonzo, con la golena in riva destra del fiume, il cosiddetto “Bosc Grand” (ridotto in realtà a meno di un ettaro) e infine Fiumicello, con i greti ghiaiosi del fiume e il bosco golenale.
 
 
 

Il mito e la storia recente
Narra la leggenda, riportata dal geografo Strabone, che, numerosi secoli prima di Cristo, il trace Diomede proprio in queste zone allevasse branchi di candidi cavalli, dedicati alla dea Diana-Artemide. Gli ampi boschi di rovere che ammantavano la zona a est dello «Aesontius Flumen» furono perciò dai Romani denominati Silva Diomedaea. Un magnifico bosco, di cui rimane appena un pallido esempio nel tratto sopra ricordato e in quello denominato “Alberoni”, che faceva da cornice alla favolosa “Sorgente e madre del mare”, come veniva allora denominata la foce del misterioso Timavo, il “fiume più breve d’Italia”. Una tenebrosa e tuttora in gran parte inesplorata via d’acqua che, dopo un percorso sotterraneo di ben 40 chilometri, sgorga alla luce del sole ad appena un tiro di fucile dal Mare Adriatico, in vista dell’antico castello di Duino e alle pendici del Carso. Appena a occidente dell’attuale Isonzo, autentica barriera naturale, si estendeva poi per chilometri la paurosa e in origine certo impenetrabile Silva lupanica, che ammantava l’intera bassa pianura, segnando un confine naturale appena alle spalle di Aquileia, la grande città fondata dai Romani nel 171 a.C. E fu appunto grazie alle ben pavimentate strade da questi “imprudentemente” predisposte che Attila e i suoi Unni invasero più volte l’Italia, espugnando infine la città dopo un lungo assedio, nel 452 d.C. e provocando, come riporta Paolo Diacono nella sua Historia langobardorum, la fuga delle numerose cicogne che ivi nidificavano.
Un episodio drammatico che è all’origine della nascita della città lagunare per antonomasia. Gli abitanti di Aquileia, rifugiatisi dapprima a Grado, avrebbero alla fine preferito fondare una nuova e ben più sicura città, circondata in ogni direzione da insidiose paludi e profondi canali: Venezia.
Una zona quella dell’attuale laguna del Friuli-Venezia Giulia in genere e dell’Isonzo in particolare, come si può constatare, tra le più ricche di storia d’Europa, che è stata tuttavia interessata in epoche più recenti da un forte sviluppo e da sensibili trasformazioni ambientali.
Le aree circostanti l’Isonzo furono infatti progressivamente disboscate e “bonificate” dall’uomo, per far posto a colture agricole e nuovi insediamenti, tanto industriali che dedicati al turismo di massa, come è ad esempio il caso della stessa isola di Grado, che veramente “isolata”, ohimè, più non è da tempo. Da ciò la forte esigenza di conservare e ove possibile ripristinare almeno un piccolo esempio di quell’animato mondo selvaggio che, per tanti secoli, ha caratterizzato questi luoghi, ponendo le basi per il possibile ritorno di specie localmente estinte, come ad esempio quelle stesse cicogne scacciate tanti secoli prima o, perché no, della rarissima aquila di mare (Haliaetus albicilla) che certo ispirò con la sua appariscente e allora abbondantissima presenza i primi colonizzatori Romani nel denominare il nuovo insediamento.
Una complessa operazione di restauro e, ove possibile, ripristino di habitat degradati o ridotti ai minimi termini a seguito dell’incessante e progressivo fenomeno di “antropizzazione” che distingue particolarmente le aree costiere.

 
 
 

Il “Ripristino”
La zona di foce fluviale dell’Isonzo è ancor oggi della massima rilevanza naturalistica per le grandi estensioni di zone marine poco profonde, velme e barene affioranti, nonché aree boscose o palustri, in taluni casi interessate da risorgive.
L’area naturale maggiormente estesa, detta “Cona”, è oggi collegata alla terraferma attraverso una diga che consente un agevole accesso ma che impedisce alle acque dolci fluviali di entrare nel canale detto Quarantia. Se a ciò si aggiunge che anche le risorgive nell’intera area sono state ampiamente rimaneggiate, convogliando tutte le acque nel nuovo canale artificiale del “Brancolo”, si può facilmente intuire come a soffrirne siano stati particolarmente gli ambienti palustri d’acqua dolce.

 
Anche per tale motivo e a seguito di un progetto di massima che risale al 1983 è stata progressivamente ricreata, su un’area di una cinquantina di ettari, denominata appunto “Il Ripristino”, un’area palustre. L’iniziativa, in larga misura finanziata dalla Regione e dalla Unione Europea, comprende la realizzazione di un centro visite e di vari osservatori per lo sviluppo di attività di ecoturismo e birdwatching. Oltre a grandi specchi d’acqua poco profondi, dove abbondano rane e altri anfibi, sono state restaurate o create ex novo isole e aree boscose, una complessa rete di stagni e canali, zone a canneto e ampie aree umide prative.
 
 
 

Fauna e floraMorette tabaccate
Il restauro o il ripristino di habitat degradati o scomparsi, tra loro assai diversificati, ha notevolmente incrementato la già elevata diversità biologica del sito, con la presenza attuale di moltissime specie botaniche e faunistiche.
Tra queste nettamente predominano per numero gli uccelli, tra i quali sono stati osservati sinora oltre 300 specie, di cui 80 almeno hanno anche nidificato. Tra le tante specie faunistiche presenti ne ricorderemo solo alcune particolarmente notevoli, come ad esempio il cavaliere d’Italia, pressoché estinto dalla regione in precedenza, il tarabuso, l’airone rosso e il falco di palude, che frequentano i folti canneti.
Grazie all’incremento della naturalità e al controllo del disturbo umano, parecchie migliaia di anatidi (con punte fino a 30.000 e oltre) stazionano nei mesi invernali, fatto che contraddice chi aveva inizialmente criticato il progetto, giudicando questa zona inadatta o comunque troppo piccola per poter ospitare molti animali. In altre stagioni spiccano le garzette e gli aironi bianchi accanto alla grande ed elegante spatola: una specie quest’ultima assai esigente dal punto di vista ecologico, che sembrava irrimediabilmente scomparsa.

 

E si potrebbero ricordare anche numerosissime specie di “limicoli” che frequentano per alimentarsi le vaste aree di “velma” fangosa, emergenti con la bassa marea, come ad esempio il chiurlo, elegante e mimetica specie dal lungo becco ricurvo, adottato quale simbolo della riserva. A questi si aggiungono le chiassose oche grigie, reintrodotte con grande successo, cui si aggiungono durante le migrazioni o lo svernamento migliaia di individui talora provenienti dalla lontana Siberia oppure in transito verso e da il continente africano. Per favorire la ricostituzione di un così complesso ecosistema sono stati inoltre immessi due gruppi di cavalli, di cui uno allo stato brado, con il compito di controllare la vegetazione delle zone umide mediante il pascolo, l’altro da adibire alle visite guidate per stimolare l’autofinanziamento della gestione. La razza prescelta è stata quella Camargue, antica, rustica e adattata alle aree palustri. Accanto a questi cavalli, che con il loro candido mantello riecheggiano quelli diomedei, vengono periodicamente inseriti anche alcuni bovini, sempre di razza rustica e adattabile alle particolari condizioni di vita in queste aree peculiari, con lo scopo di riprodurre il primigenio equilibrio tra fauna e flora e le antiche migrazioni delle orde di grandi mammiferi al pascolo.
Da questa nuova situazione hanno tratto grande vantaggio, tra i tanti animali, persino alcuni anfibi, alcuni qui presenti al limite della distribuzione geografica, come è il caso della rana di Lataste o della raganella italica.

 
 
 

Ecoturismo, educazione ambientale, ricerca
L’originalità dell’area della Cona è costituita dalla presenza di strutture appositamente progettate per l’osservazione dell’ambiente, senza arrecare disturbo alla fauna selvatica.
Oltre al centro visite di ingresso inaugurato nel 2002 e al “Museo delle Papere”, la costruzione di maggiore attrattiva è senza dubbio l’osservatorio Marinetta. Si tratta di un edificio interamente ricoperto di canna che si sviluppa su tre livelli e domina l’area palustre ricostruita, consentendo a comitive anche numerose e vocianti di godere di una originalissima visuale, tanto sott’acqua che nell’ambito del più vasto panorama del Golfo di Trieste. Lo sguardo può spaziare da qui liberamente fino all’Istria, al Carso, alle Alpi Giulie ed è frequente assistere, da vicino, alla improvvisa incursione di un rapace che tenta di catturare uno tra le migliaia di uccelli presenti, provocando acrobatici voli o spettacolari tuffi.

 
Prospettive per il futuro
La filosofia dei progetti realizzati in ambito costiero-lagunare è stata quella di allontanare e deviare progressivamente il disturbo umano dai siti più delicati e fragili della laguna, concentrando i visitatori in zone per essi appositamente progettate.
Una soluzione decisamente efficace che consente, senza ridurre la naturalità dei siti e, anzi, aumentandone la superficie, di creare numerose opportunità per nuovi posti di lavoro legati all’ecoturismo.
Per consolidare i risultati sinora raggiunti accanto alle iniziative di conservazione e didattica è stata istituita recentemente una “Stazione Biologica”, con sede presso la Riserva della Foce dell’Isonzo, con l’obiettivo di fornire le direttive per la gestione e il monitoraggio della situazione biologica nell’intera area costiero-lagunare.