CUORE DEL FRIULI
TRA TRIESTE E VENEZIA
     
   
     
 
Attraverso il territorio
 
 
UN MOSAICO DI LINGUE E DI POPOLI
 
 
Un viaggio tra culture ed espressioni linguistiche che caratterizzano i luoghi da Venezia fino a Trieste.
 
 
Villa Manin di Passariano
 
 
 
 
“Signori, in carrozza!”, “Signori, si parte!”. Inviti e segnalazioni simili, ripetuti a ogni stazione e fermata, hanno costituito il ritmo dei paesaggi che si alternavano risalendo da Venezia verso il Friuli: filari di viti e distese di grano, chiazze d’alberi a ricordare le antiche selve ridotte ormai a pochi lacerti, aree paludose, villaggi stretti attorno al campanile, animali al pascolo e sfondi di montagne innevate, greti sassosi e acque fluenti. Poi, col mutare dei tempi, il panorama si arricchiva di ciminiere e capannoni, canali e aree industriali, città in espansione e nuovi insediamenti, strade e autostrade con file interminabili di macchine.
Dapprima la carrozza era trainata dai cavalli, poi a questa si è unita un’altra serie di carrozze, trainate da una locomotiva che espirava fumo nero. Un avvenimento ha infatti concorso moltissimo a cambiare la storia e l’aspetto del paesaggio: la costruzione della strada Napoleonica o Pontebbana che partendo da Venezia-Mestre sale per Treviso e Conegliano ed entra in Friuli nelle frazioni di Sacile. Passando per Pordenone e Casarsa, tocca Codroipo, Udine, Tricesimo, Gemona,Venzone, Resiutta, Pontebba, Tarvisio e quindi prosegue per la Carinzia. Progettata ai tempi di Napoleone,con un lavoro capillare di perlustrazione del territorio metro dopo metro, venne concretamente tracciata sotto gli Austriaci. Più tardi, a partire dalla metà dell’Ottocento, accanto alla strada e, approssimativamente sullo stesso percorso, fu costruita a blocchi successivi anche la ferrovia Venezia-Pordenone-Udine-Tarvisio-Vienna. Da Udine un’altra linea venne poi fatta passare per Cormons per giungere a Gorizia e proseguire giù verso Trieste, senza contare le successive tratte da Venezia per Portogruaro, Latisana, Monfalcone, o da Udine a Cividale, da Sacile a Pinzano e Gemona, da Portogruaro per Casarsa e Spilimbergo. Era la prima volta che si unificavano la pianura veneta e il Friuli con vie di comunicazione veloci e sicure e che le due regioni venivano collegate in modo stabile con altri territori anche lontani. Terre di passaggi, di partenze e di arrivi per tutta la loro lunghissima storia ma in particolare per l’Ottocento e il Novecento, attraverso queste loro strade e ferrovie transitarono merci e capitali, militari e migranti, nobildonne e venditrici ambulanti, balie e terrazzieri, scalpellini e boscaioli, contadini e operai, studenti e artisti, idee, fedi e sentimenti. Piacevole e curioso può essere anche un viaggio ideale attraverso le espressioni linguistiche che si incontrano lungo la Pontebbana. Poniamo che un passeggero attraversasse questi luoghi negli anni ‘60 dell’Ottocento, ai tempi in cui la strada era appena terminata e gli sbuffi del treno a vapore lo accompagnavano fino a poco oltre Udine. Fino all’area del fiume Livenza, avrebbe udito i cangianti accenti veneti: dal puro veneziano ai primi preavvisi del trevigiano già verso Mogliano, ascoltando oltre il Piave le cadenze rustiche dell’alto trevigiano e cenedesi tendenti al bellunese.
Se poi si fosse fermato a Sacile, avrebbe ascoltato un dialetto veneto “liventino”, forse ancora con qualche parola friulana. Sicuramente verso Fontanafredda avrebbe sentito parlare una prima versione del friulano concordiese e così fino ai borghi di Pordenone.Qui sarebbe entrato in un’area in cui il friulano stava regredendo velocemente, di fronte a una mescolanza di cadenze, parole, accenti più diversi, poiché la rapida industrializzazione della zona era pienamente in atto: il richiamo di manodopera dalle campagne circostanti e anche da fuori regione era fortissimo. In centro città dominava il veneto di stampo “coloniale”, con una patina veneziana, ma già passando il ponte della Meduna il nostro viaggiatore si sarebbe tornato nel campo linguistico friulano che lo avrebbe accompagnato fino a Udine, con varietà concordiesi. A Udine gli strati borghesi della società lo avrebbero salutato con espressioni venete “coloniali”, ma per il resto, sia tra il popolo urbano, sia a partire dai borghi esterni non avrebbe più abbandonato la marilenghe, “madrelingua” friulana, fino a Pontebba, passando attraverso le forti individualità del friulano carnico. Assieme alle acque del torrente Pontebbana, correva il confine statale: da una parte il Lombardo-Veneto e dal 1866 il Regno d’Italia, dall’altra l’Austria. Cominciava anche una situazione di “mosaico linguistico” assai antico e cementato da secoli e secoli di convivenza: il friulano,che già verso Resia lasciava il posto a una varietà originale dello sloveno e su per la Carnia, in qualche villaggio, cedeva il terreno a forme isolate del tedesco, caso unico in Europa di convivenza fra le tre famiglie latina, germanica, slava, e così fino a Tarvisio, dove il tedesco diveniva sempre più forte, con i suoi accenti carinziani. Mettiamo che il nostro viaggiatore a Udine avesse continuato, per Cormons, fino a Gorizia: avrebbe sentito parlare friulano, con varietà centrali e orientali, ma già entrava in contatto col dominio linguistico sloveno e con una presenza, nella città sull’Isonzo, di comunità tedesche ed ebraiche di una non indifferente consistenza. A Gorizia cominciava a farsi sentire anche il dialetto veneto di stampo “giuliano” che arrivava da Trieste, che intanto aveva appena perduto la sua varietà friulana che manteneva una vivace presenza a Muggia. A qualche chilometro di distanza il territorio mescolava sloveno, friulano e la forma veneta “bisiaca”.
Seguiamo ancora per un po’ il nostro passeggero in un ipotetico ritorno a Venezia lungo le “Basse”.
Lasciando alla sua sinistra gli scenari incantevoli e non ancora scoperti dai turisti delle lagune di Grado e di Marano, ricche dell’odore e dei colori della pesca,avrebbe indubbiamente ammirato le mura e i fossati di Palmanova, dove la più che secolare presenza di guarnigioni provenienti da tutto lo Stato veneziano e anche da altrove, aveva fatto sovrapporre un veneto “coloniale” alla base friulana, viva tuttavia e vitale. Poi il friulano non lo avrebbe mai abbandonato fino alla periferia di Portogruaro, tingendosi di accenti sempre più concordiesi. A Portogruaro avrebbe ascoltato una varietà tendente al veneziano, per ascoltare ancora un po’ di friulano tra Summaga, Pradipozzo e forse ancora più in là, per poi entrare definitivamente nel dominio veneziano grossomodo al passaggio del fiume Livenza,tradizionale limite occidentale della Patria del Friuli.
A un secolo e mezzo di distanza, la geografia linguistica è mutata solo di poco, nel senso che l’area del friulano e dello sloveno si è un po’ ristretta, che il bisiaco ha subito una grande influenza dal triestino, che in generale l’italiano ha fatto passi da gigante rispetto a tutte le parlate locali. Ma, soprattutto, sia sulle carrozze dei treni, sia lungo le strade, nei paesi come nelle vie delle città, si mescolano agli accenti e ai suoni tradizionali le lingue e i dialetti di tutto il mondo, con qualche tratto che attirerebbe ancora la curiosità del nostro ipotetico viaggiatore: per esempio,riuscirebbe a distinguere, nell’italiano talora essenziale parlato dagli Africani o dagli Asiatici, un vago accento regionale, e magari potrebbe anche essere salutato con un “mandi”. È un duplice segno di persistente identità e di intreccio di culture: da un lato la vitalità degli idiomi e dei dialetti locali, dall’altro il desiderio degli immigrati di integrazione e di inserimento nel corpo sociale, acquisendo almeno uno dei segni linguistici caratterizzanti la comunità in cui si viene a lavorare, a vivere e a portare la propria esperienza.
 

Castello di Miramare

Palmanova

Veduta aerea di Palmanova

Castello di Duino

Udine, la Loggia di San Giovanni

I ruderi della rocca di Cormons