Ragogna

IL LAGO RITROVATO

 
Una serie di interventi umani in epoche diverse hanno alterato l'ambiente lacustre;
l'attuale progetto di recupero potrebbe risolverlo.
 
 
 
 
Il lago visto dalla "spiaggetta", sullo sfondo le Prealpi Carniche e Giulie
 
     
 

e aganes del Lago di Ragogna, esseri mitici, popolari, identificabili con le streghe e collegati al culto dell’acqua, durante le notti di plenilunio, stendevano sui prati delle colline circostanti grandi lenzuoli bianchi per attirare i viandanti che passavano di là e che, abbagliati dalla luminosità, finivano per trovare la morte nelle paludi». Così narra un’antica leggenda del luogo.
Oggi quelle colline esistono ancora, mentre le paludi e i prati sono stati trasformati, per mano dell’uomo, in campi arati.
Eppure agli inizi del Novecento gli studiosi, descrivendo il lago, lo presentavano in maniera completamente diversa: la superficie era più vasta e i suoi acquitrini arrivavano fino quasi all’abitato di Muris, mantenendo quella funzione economica che aveva avuto fin dall’antichità.
La fase neolitica aveva visto lo stabilirsi delle prime comunità agricole che traevano sostentamento non soltanto dall’agricoltura, ma anche dalla pesca, dalla raccolta di molluschi e di castagne d’acqua (trapa natans), dalle quali ricavavano una farina commestibile.
In epoca romana, a nord dello specchio lacustre, i coloni avevano costruito alcune ville “rustiche” e anche una piccola necropoli, quasi a significare il loro attaccamento a quelle terre.
Sicuramente in epoca medievale il progressivo abbandono dell’agricoltura, per la ricerca di siti più idonei e salubri, aveva permesso l’avanzata del bosco, lasciando così che la natura seguisse il suo normale corso.
Per secoli l’uomo ha ricavato dal lago numerose materie prime: con la canna di palude ha costruito i tetti in paglia delle sue abitazioni o i graticci per i soffitti, con la cosiddetta cjanàipe (canapa), raccolta ed essiccata durante la stagione estiva, ha impagliato sedie e con i pennacchi ha realizzato umili scope.
Quando c’era, poi, carenza d’acqua i contadini accompagnavano gli animali ad abbeverarsi.
Poi, la politica economica del periodo fascista spinse ad operare una serie di bonifiche nella zona collinare ed anche il lago subì una serie di interventi che avevano lo scopo di sottrarre alla palude vaste aree di terra da coltivare per una popolazione che andava aumentando il suo numero.
Venne realizzata la canalizzazione del torrente Repudio (unico emissario e immissario nello stesso tempo), uno sbarramento per la regolamentazione del deflusso delle acque lacustri e due canali drenanti.
Tutti questi interventi ebbero come conseguenza un abbassamento del livello del lago, una consistente riduzione della superficie del bacino e la scomparsa di alcune specie ittiche come l’anguilla.
Ancora oggi i terreni strappati alle paludi e coltivati hanno il significativo toponimo di “bonifica”.
Parallelamente alla coltivazione agraria si sviluppò anche un’attività marginale, ma alquanto redditizia: l’estrazione della torba, che non serviva solo come combustibile alle fornaci di laterizi della zona, ma anche come valida alternativa alle popolazioni più povere che non potevano permettersi l’acquisto di legname per riscaldarsi.
Oltre all’interesse agricolo, che vede aumentare i seminativi a tutto campo o della monocultura del mais – e più tardi della soia – negli anni Sessanta si affermano alcune colture arboree di rapido sviluppo (pioppeti) che stimolano investimenti verso questo tipo di iniziative, ma a discapito dell’assetto ecologico e ambientale dell’ecosistema lacustre.
Se la concordanza tra le esigenze dell’uomo ed il processo della natura indicano il grado di maturità ed intelligenza che una determinata comunità ha raggiunto, se lo scambio fra l’uomo e la natura diventa pura rapina nei confronti di quest’ultima, il danno diventa irreparabile. È evidente che l’uomo ha cercato in questi ultimi decenni di alterare l’ambiente per renderlo esclusivamente idoneo ai suoi profitti.
Così negli anni Settanta la crisi del modello economico basato sulla zootecnia ha incentivato la trasformazione degli ultimi prati stabili in arativi, l’utilizzo poi di diserbanti e di concimi chimici (fosfati e nitrati) ha causato una grande proliferazione delle alghe di fondo, la carenza di ossigeno disciolto nell’acqua, la scomparsa di numerose specie di pesci, accellerando il naturale processo di eutrofizzazione del lago, fino quasi alla distrofia.
Negli anni Ottanta l’opinione pubblica, finalmente, si rese conto che senza un’inversione di tendenza del processo di recupero, questo avrebbe provocato la scomparsa del lago, per cui tutta una serie di iniziative e di studi specifici hanno cercato di trovare delle possibili soluzioni.

 

Veduta aerea dell'unico lago intermorenico esistente

L'ambito lacustre con in primo piano il folto canneto

Ninfea comune (Nymphaea alba)

Sussiste un altro problema: il lago ricade in due Comuni diversi e quindi il suo recupero doveva essere oggetto di un’intesa politica fra le Amministrazioni di Ragogna e San Daniele del Friuli. Ma nonostante il progetto di recupero realizzato dal Consorzio della Comunità Collinare del Friuli, nel 1984, su delega delle due Amministrazioni, la situazione rimase sostanzialmente “congelata”.
Solo ora, grazie alle sue particolarità naturalistiche (unica stazione del Nord-Est in cui vive la castagna d’acqua, un’alta concentrazione di specie di libellule, la sua posizione strategica sulla rotta di alcune specie di uccelli migranti) il lago è stato da poco tempo inserito nell’elenco dei SIC - Siti naturalistici di Interesse Comunitario.
L’attuale progetto di recupero, per la sua potenzialità quale risorsa turistica, ricreativa e didattica, prevede da un lato una serie di interventi idonei alla valorizzazione delle sue specificità naturalistiche, dall’altro dovrà conciliare le esigenze di tutela ambientale con quelle degli operatori economici, mediante riconversioni colturali come il rimboschimento e semina di essenze di prati stabili per proteggere le specie autoctone ed aumentare la biodiversità.
Ciò sarà attuabile solo attraverso una capillare informazione e con un dialogo fra le parti sociali che permetta, nell’interesse comune, il raggiungimento di obiettivi concreti per evitare che il processo di eutrofizzazione e il lento interramento, porti alla scomparsa definitiva dell’unico lago intermorenico.