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Giaggiolo del Cengialto

Delle tre specie di giglio selvatico che vivono sul Monte, il più interessante e raro è il giglio della Carniola (Lilium carniolicum), osservabile nei cespuglieti e nei boschi presso la sommità e nel versante Nord. I fiori, di colore rosso - aranciato, hanno l’aspetti di piccoli ricci capovolti e sono riuniti in piccolo numero su steli alti fino a 70 – 80 cm. Il Monte Summano rappresenta l’estremo occidentale dell’areale di questa specie, che verso Est si spinge fino alle Alpi Dinariche (Slovenia).

Nelle rupi del versante settentrionale è facile imbattersi nel noto raponzolo di roccia (Physoplexis comosa), vistoso endemita delle Alpi meridionali che, sul Summano, è in grado di scendere fino a quote di 200 – 300 metri. È una pianta di origini molto antiche, che si ritrova solo in vicinanza di stazioni che furono libere dai ghiacci durante i periodi freddi del Quaternario.

Anche la primula meravigliosa (Primula spectabilis) è un endemita del versante meridionale delle Alpi, diffuso solamente tra il Bresciano e il Monte Grappa. I suoi fiori porporini sbocciano in maggio – giugno nei prati aridi e nelle rupi delle quote più elevate.

In pochissime stazioni del Summano e delle pendici dei Sette Comuni è possibile osservare il raro iris del Cengialto (Iris cengialti). È una bellissima specie che, purtroppo, mostra di rado gli splendidi fiori azzurro – violacei. La sua distribuzione è molto frammentaria e va dalla Slovenia al Bresciano.

L’alaterno (Rhamnus alaternus) è un arbusto mediterraneo sempreverde estremamente raro nelle Prealpi. Alcuni esemplari si possono trovare alle pendici del Monte Summano, in corrispondenza delle colonie di leccio (Quercus ilex). Anche quest’ultima è una quercia a distribuzione mediterranea, ma la sua presenza sul Monte è probabilmente artificiale.

La famiglia delle graminacee comprende specie che normalmente non attirano l’attenzione, ma il lino delle fate (Stipa pennata) fa eccezione: la lunghissima resta candida e piumosa che avvolge i frutti offre un meraviglioso spettacolo soprattutto quando ondeggia al vento. È abbastanza frequente negli aspetti più rocciosi del prati aridi, ad esempio sul Summano e sul Costo.

A queste specie vanno aggiunte le numerose orchidee, le peonie selvatiche, le stelle alpine, le genziane e moltissimi altri ornamenti di prati, boschi e rupi.

Dopo questo elenco di meraviglie, sorge spontaneo chiedersi qual è lo stato attuale di conservazione della nostra flora. Esistono ancora tutte le specie segnalate dai botanici del passato e che hanno reso così famoso il Monte Summano? Una premessa è doverosa: occorre liberare il campo da alcune esagerazioni che, se potevano essere giustificate dalla lacunosità delle conoscenze floristiche del territorio prealpino o magari da un eccesso di amore per la propria terra, certo non hanno facilitato un’obiettiva conoscenza.

Primo: non esistono specie esclusive. Gli Autori del passato si sono sbizzarriti a descrivere piante nuove, uniche ed esclusive: la Chamaedrys Montis-Summani, il Carduus summanus, la Pedicularis summana, per citare solo alcuni esempi, ma nessuna di queste specie ha retto ad esami critici, e nessuna di loro viene oggi considerata valida.

Anche le presunte e divulgate peculiarità fitogeografiche sono esagerate. Molte segnalazioni non sono state confermate in tempi recenti nonostante accurate ricerche negli ambienti adatti, altre sono del tutto inverosimili. Citiamo, come esempi, l’Andromeda polifolia, una pianta di torbiera, la Primula glutinosa dei graniti, l’Euphorbia myrsinites, endemica degli Appennini, Scutellaria alpina, Trifolium alpinum e altre la cui presenza sul Monte è improponibile. Spesso le segnalazioni errate derivano da imprecise determinazioni, come per Lilium pomponium (specie endemica delle Alpi Marittime simile a Lilium carniolicum) o Aquilegia alpina, in realtà Aquilegia einseleana. Ancora, molte segnalazioni di piante alpine derivano dall’impreciso uso del toponimo.

I Anche se la situazione attuale è meno compromessa di quanto generalmente si pensi, si intravedono segnali di imminente pericolo. Non provocati da un’eccessiva raccolta dei fiori (le narcisate e i grandi mazzi di stelle alpine sono quasi un ricordo del passato), non dagli incendi che periodicamente percorrono le pendici aride e che, al massimo, provocano la rapida combustione dei residui secchi permettendo la crescita ad altre piante, non dall’attività umana, quindi, ma piuttosto dal suo abbandono. I prati, soprattutto quelli aridi e in forte pendio, non vengono più falciati e tendono a ricoprirsi di arbusti e alberi che modificano drasticamente il microclima, ombreggiando il suolo e togliendo luce alle specie più esigenti che sono spesso, guarda caso, anche le più rare e interessanti. Sul Summano, sono rimaste poche centinaia di ettari di prati aridi ed è stato stimato che più dell’1 % di questa superficie viene persa ogni anno per incespugliamento spontaneo. Tenendo conto della verosimile accelerazione del ritmo di questo processo dovuta alla chiusura delle radure, rischiamo di veder compromesso in pochi decenni un interessantissimo patrimonio naturalistico.

I tempi cambiano, cambiano l’economia e l’azione umana sugli ecosistemi e cambia anche la flora. Lentamente, ma inesorabilmente.


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