Il santuario di San Romedio

L'EREMO

Un luogo che emana positività ed influssi benefici.

San Romedio è una santuario largamente conosciuto anzitutto per la suggestione del luogo naturale, uno spuntone di roccia alla confluenza di due torrenti spumeggianti, poi per l’architettura complessa che ne fa una sorta di “sacro monte” in miniatura, un monumento curioso che è chiesa alpina, convento, ma anche fattoria, sicché si ha davanti una pluricostruzione di semplice bellezza contadina che contiene, però, molte presenze d’arte; rimane pur sempre vivo anche il richiamo di una santo “popolare”, di un santo taumaturgo.
Si aggiungano il fascino tutto contemporaneo del messaggio di Romedio: il rispetto della natura, l’amore per gli animali, specie l’orso della leggenda, l’orso illustrato ovunque e che per altro vive nel recinto accanto al santuario e, infine, una certa aura mitteleuropea dovuta alle origini tirolesi di Romedio, al suo culto vivo al di qua e al di là delle Alpi, al ricordo di Andreas Hofer che qui era venuto in devoto pellegrinaggio; la stessa località era posta un tempo su un confine, dove l'area italiana entrava in contatto con l’ambiente tirolese. E oggi, quando è possibile condividere, in un orizzonte europeo, l’attrazione di certe affinità storiche più antiche delle divisioni nazionali e poi nazionalistiche dell'Ottocento, tutto concorre a favorire una rivisitazione moderna della religiosità e a legittimare una riconsiderazione serena dei vari aspetti dell’identità delle popolazioni alpine.
San Romedio,come lo vediamo oggi, è costituito da una serie di chiesette e cappelle lungo una scala che porta alla grotta rocciosa oggetto di una devozione storicamente consolidata. Per la serie di motivi appena ricordati è largamente frequentato da moltitudini di pellegrini e di occasionali visitatori, perfino troppi in certi momenti se si parla di 250.000 persone in qualche anno, dal momento che al richiamo devozionale si è aggiunta una forte attrazione turistica.
Siamo di fronte, insomma, a una realtà storica certa, molto nota appunto. Più problamatica è stata invece la figura storica di Romedio, perché la leggenda medievale venne messa in forse, in epoca illumunistica da una polemica che arrivò a negare addirittura che un santo col nome di Romedio fosse mai esistito. Ne nacque una “questione romediana” che per secoli appassionò storici, esperti d’arte, ricercatori archivistici, ecclesiastici. Tutto nasce dal fatto che sulla base di un culto già in essere, le prime versioni delle vicende romediane parlano, attorno al 1240, di un nobile tirolese che si fece eremita dopo un viaggio a Roma e che donò beni e persone al vescovo di Trento Vigilio, personaggio storico vissuto alla fine del IV secolo. Ma com’è possibile – ecco la domanda dei contestatori – la donazione di un feudo quando il feudalesimo nasce secoli dopo? Si tratta evidentemente – conclusero – di una mera leggenda ancorché affascinante, però, il culto era largamente praticato sicché se ne disputò a lungo, pro e contro. E solo negli ultimi decenni del secolo scorso la questione è stata chiarita con l’apporto di numerosi studi. Igino Rogger in particolare ha riportato la vita di San Romedio al fenomeno europeo dell’eremitismo che si afferma intorno all’anno Mille. Una serie di documenti attesta che Romedio, di una nobile famiglia tirolese, donò alla Chiesa di Trento beni e diritti posseduti nella valle dell’Inn, ritirandosi poi a vita di penitenza nell’eremo che da lui prende il nome, presso Sanzeno in Valle di Non. Il culto in suo onore è attestato dalla fine del secolo XI e si estese anche al di là delle Alpi in una serie di luoghi che in qualche modo si ricollegano con le sue origini familiari. Romedio rappresenta così – afferma il Messale diocesano del 1985 – dentro un filone europeo, il capofila di un movimento eremitico che nel Trentino ebbe lunga diffusione e durò fino ai tempi recenti.
Anche i dati architettonici e artistici documentano che si può ragionare solo a far data dopo il Mille, partendo dalla sommità del complesso. Il percorso devozionale e pure quello artistico-turistico si concludono, infatti, sulla cima della cuspide rocciosa, tutta impreziosita da una serie di stratificazioni, sicché la storia cronologica va letta a rovescio partendo dall’alto per scendere alla base delle rampe di scalini, in tutto 115. La grotta in alto, forse un riparo, forse una tomba, non è ovviamente opera d’arte, ma sulla parete esterna sono stati scoperti ben quattro strati di affreschi sovrapposti nel tempo. La cella originaria venne poi suddivisa con l’innalzamento di una parte divisoria per ricavarne un locale sacrario, una specie di baldacchino con due colonnette per onorare le reliquie; le pareti vennero affrescate e per questi affreschi, molto deteriorati oggi, si sono sottolineati più volte legami con opere della scuola attiva in val Venosta; all’esterno viene eretto un ricco portale di sicura epoca romanica. In alto è collocata anche la cosiddetta chiesa maggiore con affreschi di storie del santo del XVII secolo.
Scendendo troviamo di seguito la chiesa di San Michele, che è del 1514 con affreschi della fine di quel secolo, sette cappelle della Passione, con statue lignee scolpite nel XVIII secolo e di forte impronta popolaresca; alla fine del nostro percorso a ritroso – parliamo, quindi, delle prime chiesette che si incontrano di fatto dopo l’ingresso – troviamo la chiesetta dell’Addolorata, l’ultima come data di costruzione perché eretta per sciogliere un voto dopo la Prima Guerra Mondiale; di fronte la cappella di san Giorgio, del 1417, decorata di affreschi e stemmi e con un altare del 1607. Si aggiungano un arco di trionfo, ambienti vari, l’appartamento nobile, il raccolto chiostrino con il cortile acciottolato per avere un’idea della complessità del santuario, ma l’esito finale di queste continue e complicate sovrapposizioni, attuate nel corso dei secoli è, però, singolarmente unitario e di grande armonia.
La ricca dotazione di ex voto è stata in parte protetta, si spera che possa rappresentare il nucleo forte di un piccolo museo, mentre sono scomparsi gli ex voto rappresentati da cuori d’argento o modellini in legno di gambe, mani, braccia, quasi a purificare il culto del santo. La sua figura è al centro di poetiche leggende, ricordate anche nel ciclo di affreschi della chiesa maggiore le cui didascalie recitano: «San Romedio conte di Thaur; san Romedio, David et Abram compagni partorono peregrini per Roma; san Vigilio riceve in Trento li tre peregrini e li benedice; Lo Pontefice li benedice e dichiara Romedio missionario appostolico; nel semplice ritorno da Roma vengono ricevuti da san Vigilio e da tutto il clero; san Romedio comanda a David di metter la briglia a l’orso che aveva sbranato il cavallo; san Romedio et compagni partonro verso Trento et fa molti miracoli per strada; san Romedio muore; la campana di san Vigilio suona in Trento; il Santo s’instrada verso l’eremo; arrivato san Vigilio al Eremo si mettea a riposo per indi consacrar la cappella edificata da san Romedio; casca il marangone dal tetto della cappella nel fondo e non fio offeso». Va da sé che il ciclo affrescato non può essere assunto come riferimento scientifico, ma va letto come una biblia pauperum, una lex orandi, e apprezzato per il suo genuino incanto. Così dicasi delle versioni della leggenda che vanno gustate lasciando da parte ogni metro storico, che non sia quello di una storia della devozione. È comunque singolare la storia dell’orso. Si potrebbe dire che l’orso era ben conoscoiuto nel Medioevo. Anche adesso, del resto, gli orsi abitano non solo il recinto annesso al santuario, ma il vicino gruppo di Brenta e al santo è dedicato l’Ordine che si propone la tutela appunto dell’orso. Ma l’orso appare in altri santi, taluni dei quali sono in stretta relazione con il Trentino Alto Adige: San Corbiniano, evangelizzatore del Meranese; San Gallo che avrebbe ammansito il plantigrado a Steinach, poco al di là del Brennero; San Lugano, personaggio misterioso che pure dà nome a un gruppo dolomitico e al passo che porta da Ora in valle di Fiemme, per non dire di Sant’Orsola il cui nome è di per sé chiaro.
Anche questo aspetto che ritroviamo in due costellazioni celesti e in numersosi miti, dalla Finlandia agli Indiani del Nord America, ci richiama al sentimento moderno della natura .
Altrettanto curiosa è la propagazione del culto a iniziare da Thaur, alle porte di Innsbruck e dal convento di S.Georgenberg, alto sulla valle dell’Inn, per finire in Boemia dove una cappella è stata eretta proprio al nostro santo nel castello di Choltice, a un’ottantina di chilometri da Praga.
Su tutto dominano – penso e in questo avverto anche la lezione del professor Igino Rogger – la dolcezza e la serenità che promanano dal piccolo santuario che propone anche moduli penitenziali, come la scala santa e che ci rinvia di continuo alla figura di Romedio, un santo tutto rivolto all’acquisizione di una religiosità intima attraverso pratiche ascetiche severe e attraverso l’esperienza dura della vita eremitica, che non è, però, un rifiuto di apertura verso il mondo, ma che anzi contiene il segreto di una riconciliazione tra gli uomini e di una fraternità rispettosa della natura.

Santuario di San Romedio San Romedio, Chiesa Maggiore, interno. San Romedio: volta affrescata di San Giorgio San Romedio: volta affrescata di San Giorgio San Romedio:cortile esterno del Santuario