Piazza dei Signori
TREVISO
 

È il centro geometrico e ideale della città, luogo di riferimento privilegiato, punto di incontro e ciacoe, dove continuare il discorso o concludere l’affare, magari di fronte alla preferita ombra de vin.

 
         
 
Treviso pare esistere una particolare e numerosa categoria di cittadini, i così detti piasaroti, che della piazza sono implacabili habitué. Essi vi concorrono a ore fisse, ciascuno nel suo particolare punto esatto, quasi fosse segnato a suo nome sul selciato. Lievi spostamenti nelle ore diurne sono suggeriti, in inverno, dalla ricerca dello spicchio di sole che i palazzi ritagliano sulla superficie, con l’effetto della curiosa concentrazione geometrica delle persone.
Tra i frequentatori vi sono quelli pressoché "stanziali", cioè che vi si allontanano raramente; quelli abitudinari quotidiani, a ore fisse; quelli settimanali, del sabato o della domenica. Una sottocategoria particolare è quella dei mediatori agricoli provenienti dal territorio, che prende il sopravvento la mattina del martedì, giorno del grande mercato cittadino e della borsa merci.
 
 
 
Soprattutto il sabato sera, tra le 17 e le 20, il concorso di persone è tale che non è sufficiente il solo spazio della vera e propria piazza dei Signori. Ne risulta difficoltoso anche il semplice attraversamento a piedi! In quelle ore la simpatica folla stanziale e vociante, con seguito di bambini e cagnolini analogamente eccitati, si estende alla contigua piazza Indipendenza, o penetra nella stretta calle di via Barberia, oltre che nei naturali prolungamenti costituiti dagli accoglienti portici del Calmaggiore. Nelle sere d’estate, fino a notte fonda, l’animazione è quasi come quella diurna; e bisogna attendere per conquistare una sedia ai tavoli dei caffè-gelateria.
Sotto il severo palazzo dei Trecento, la loggia omonima si frappone tra le piazze dei Signori e Indipendenza. Sotto le sue volte rinascimentali stanno i tavolini di due locali ormai storici: Beltrame, santuario della inimitabile porchetta al forno alla trevigiana fondato dall’indimenticato Alfredo, e il Biffi, autore di ineguagliati toast. A questi tavoli taluno che, evidentemente, lo può fare, passa intere mezze giornate. Chissà se proprio qui è nato qualche lavoro letterario! Dall’inverno 1999-2000 l’attivissimo sindaco Gentilini ha pensato di riparare e favorire i frequentatori della loggia con l’idea di chiudere le arcate con vetrate amovibili. Pur tra varie disapprovazioni, molti cittadini sembrano aver ben gradito.
A taluno potrà apparire ozioso mettere in risalto tutto ciò, poiché pare corrispondere al normale uso sociale dello spazio urbano, consolidato nei secoli pressoché sotto tutte le latitudini, massime nei paesi dell’Europa mediterranea.
 

Eppure la cosa, come mi fanno osservare amici di altre città, assume a Treviso accenti e intensità eccezionali e addirittura sconosciuti nei centri metropolitani maggiori. In ciò vi è qualcosa di sanamente "provinciale" e di antico, addirittura, di anacronistico, apparentemente in contrasto con la decantata dimensione di attivismo e proiezione internazionale di questo miracoloso Nordest. Eppure, forse, una delle ragioni profonde del "miracolo" è anche rispecchiabile nell’addirittura ampliato uso della piazza trevigiana, indice di un radicamento locale espresso particolarmente proprio nelle relazioni interpersonali quotidiane.
La piazza reale, non quella "telematica", a Treviso è tuttora il riconoscibile, necessario "centro" delle relazioni. La differenza rispetto al passato è nella dimensione: ieri centro di una città di qualche decina di migliaia di abitanti; ora di un territorio metropolitano intensamente urbanizzato, ben più vasto dei limiti comunali. Infatti, è ben noto che il centro storico di Treviso, nitidamente circoscritto dall’anello delle mura venete cinquecentesche, con fenomeno parimenti riscontrabile in analoghe realtà europee, negli ultimi decenni s’è svuotato di residenti, a vantaggio dei comuni circostanti che hanno più che raddoppiato la loro popolazione. Insomma, la piazza, nonostante la sua età secolare e il profondo mutamento del contesto e degli equilibri urbanistici, deve tuttora essere il polo effettivo e simbolico di un territorio metropolitano vasto e fittamente interrelato. In verità, la cosiddetta "città diffusa" non è riuscita a creare nuovi "centri".

(continua ®)