Le piazze centrali
PADOVA
 

Negli spazi aperti più significativi della città ritroviamo il segno dei tre regimi che dal Duecento allo scadere del Settecento si sono susseguiti al governo della città.

 
         
 

ra i motivi principali di vanto per Padova è senza dubbio la presenza, segno tangibile di una prosperità fuori dall’ordinario, di ben cinque piazze. Ad eccezione di una, esse sono denominate in base ai commerci che vi si svolgono: le Erbe, i Frutti, la Legna e la Paglia, toponimi, questi ultimi, mutati nell’età contemporanea in Cavour e Garibaldi; il quinto foro è dedicato alla Signoria, poiché vi si trovano le sedi dei suoi rappresentanti.
Vanto dell’architettura medievale padovana il palazzo del Comune, o della Ragione, è il fulcro attorno al quale ruota la vita del Due-Trecento.
Lungo i fronti principali del palazzo della Ragione si dispiegano le piazze, che con esso formano quasi unico organismo: il luogo principale, ottocento anni fa come a tutt’oggi, di identificazione municipale per i padovani. Attorno alle due aree si sono organizzate fin dal tardo Duecento anche le altre fabbriche del Comune, a sancirne il ruolo di cuore politico urbano: il palazzo del Podestà in piazza delle Erbe; quelli degli Anziani e del Consiglio in piazza della Frutta.

 
 
 
Ma le piazze costituiscono anche il cuore economico della città medievale, sede degli stazi del mercato. Chi vi si addentri oggi ritrova lo stesso colorato e vociante brulicare di venditori descritto in una famosa cronaca del primo Trecento. Nella Visio Egidii di Giovanni Da Nono le attività commerciali e artigianali si espandono, come ai nostri giorni, dalle botteghe al pian terreno del palazzo comunale fino a occupare ogni spazio disponibile, in un ordinato succedersi delle merci più disparate: dalle vettovaglie ai tessili, dalle biade agli arnesi in ferro o ai ferri vecchi. Non mancano i calzolai né gli orefici, i coltellinai o i cambiavalute; e neppure l’opportunità di "consumare i beni nel gioco dei tarocchi".
 
Se le due piazze sono giunte intatte fino a noi quanto a destinazione d’uso, mutamenti profondi hanno investito nel corso dei secoli le architetture che le circondano. Nel 1420 un disastroso incendio si abbatte sul palazzo della Ragione distruggendolo in gran parte: si rende necessario l’intervento di ricostruzione veneziano, che segue nell’essenziale le linee precedenti, per non offendere la coscienza civile della popolazione assoggettata. Passa più di un secolo e il proto Andrea Moroni, uno tra i campioni del rinascimento padovano, è chiamato a ristrutturare la sede del Podestà, ormai fatiscente: egli applica alle strutture esistenti un rivestimento di pietra d’Istria classicamente impaginato. Al XIX secolo risalgono invece trasformazioni deleterie: nel
1872 il vecchio edificio delle Carceri (le "Debite") è ricostruito in forme neorinascimentali da Camillo Boito, portando con sé l’eliminazione dei volti di collegamento con il palazzo della Ragione; circa un ventennio più tardi è abbattuto il fondaco delle Biade (mercato coperto innalzato da Fra Giovanni) per far posto alla nuova ala del Municipio, che riproduce in maniera pedissequa le forme del Moroni.
Ma torniamo al Trecento; più precisamente agli anni tumultuosi dell’imporsi del governo assoluto. Segno fisico del mutamento di regime, la piazza dei Signori (che dal principe assume la sua denominazione: platea Domini) nasce a opera di Cangrande Della Scala, durante il suo breve dominio di Padova nel 1329.
 
 
 
(continua ®)