al Comunale (ahimè! Anche questo piacere oggi ci è precluso!) a godere una delle tante splendide opere che lì si davano fino a qualche tempo fa. E da qui si capisce che i tempi di Giuseppe Mazzotti, di Giuseppe Maffioli, di Alfredo Beltrame, di Gigi Chiereghin e di altri illustri personaggi, come Toni Mazzarolli, non esistono proprio più e non esistono neppure eredi. Forse qualcuno è rimasto a tener alta la bandiera, perchè con loro ha operato, come Dino De Poli e qualche altro, ma serve il lanternino per trovarli. 
    Non c’è dubbio che la sòpa coàda continua a fumare sulle tavole invernali dei trevigiani e in alcuni ristoranti e trattorie di Treviso la si ritrova sempre, assieme alla faraona con la peverada, ai bigoli in salsa delle Vigilie, al cappone arrosto o alla tacchinella al forno per Natale, alla pinza epifanica, al baccalà quaresimale, alla renga del Mercoledì delle Ceneri, ai crostoli, alle fritole e alle castagnole di Carnevale, al capretto al forno e alla fugazza per il pranzo di Pasqua, alla pasta e fagioli, ai minestroni, ai risottini stagionali (con le erbe spontanee di primavera, con gli asparagi, con le primizie dell’orto, con i funghi autunnali, col radicchio rosso in inverno), alla bisata coi amoli, all’anatra lessa per le feste del Rosario, all’oca rosta col seano per le fiere di San Luca. 
    L’elenco dei piatti che si trovano nella case, nelle osterie, nelle trattorie e nei ristoranti di Treviso fa sicuramente invidia a chi trevigiano non è, perchè altrove la terra non regala lo splendore del radicchio prodotto nelle campagne appena fuori città, sia esso precoce che tardivo, né l’inimitabile delicatezza degli asparagi di Badoere e di Cimadolmo, né i dolci piselli di Borso del Grappa, né ancora quei panciuti e colorati peperoni che sono la gloria di Zero Branco, né le patate del Quartier del Piave, né i funghi del Montello e della Pedemontana che, aiutati da altri funghi sloveni, croati e marocchini, hanno dato vita a quelle festose abbuffate per migliaia di innamorati che vanno sotto il nome di Cocofungo. Treviso può anche essere la città dove nell’immediato ultimo dopogue0rra è stato inventato il tiramisù, ma in questi ultimi anni abbiamo visto spegnersi quasi tutte le stelle Michelin che brillavano nel suo firmamento e così è oggi purtroppo la sua cucina nella considerazione dei gourmet che viaggiano il mondo alla ricerca della grande tradizione ancora presente nella memoria internazionale.

Treviso può anche essere la città dove nell’immediato ultimo dopogue0rra è stato inventato il tiramisù, ma in questi ultimi anni abbiamo visto spegnersi quasi tutte le stelle Michelin che brillavano nel suo firmamento e così è oggi purtroppo la sua cucina nella considerazione dei gourmet che viaggiano il mondo alla ricerca della grande tradizione ancora presente nella memoria internazionale. Treviso l’aveva, ce l’ha nel suo DNA la cucina dei suoi tempi d’oro e la si può ancora trovare e la si troverà nei tanti piatti raccontati, nel baccalà mantecato o alla trevigiana, nei vecchi sughetti che davano alla pasta sapori rimasti quasi solo nella memoria degli anziani, negli gnocchi della tradizione, nelle zuppe troppo dimenticate, nei pasticci di casa, nel maiale e nei suoi meravigliosi insaccati e soprattutto nella trascurata ossada, nel pollame dei cortili oggi quasi deserti, nella selvaggina di piuma e di pelo, nella grande tavolozza dei risotti, uno per ogni giorno dell’anno, nelle trippe trevigiane, nella polenta e tocio, nella polenta e formajo, nella polenta e fonghi, ecc., splendide accoppiate lasciateci dalla cucina contadina e ancora nei tanti dolci e biscotti un tempo sempre presenti in ogni casa, delizia dei bambini, segno di ospitalità per chi arrivava in visita. S’è concluso un millennio, un altro sta iniziando.
    La cucina trevigiana, se sa guardare al di là del recinto di casa, scoprirà che il mondo intero sta riappropriandosi con orgoglio della propria storia e delle proprie tradizioni gastronomiche, ricostruendo, anche grazie ad esse, la propria identità che è valore da non perdere. Può farlo anche la dolce Treviso, che una cucina importante, ricca e godibile già la possiede fin dal lontano Medioevo, come ha diligentemente documentato il canonico Angelo Marchesan nella sua Treviso Medioevale, del 1923. È una cucina capace ancor oggi di soddisfare i suoi numerosi visitatori, ed essa ­ che conserva, a volte purtroppo distrattamente, i tanti tesori di cultura, di buon gusto e di materie prime raccontati con dovizia di particolari dall’indimenticabile Giuseppe Maffioli ne «La cucina trevigiana» del 1983 e tradotto in piatti con rara sapienza da Alfredo Beltrame, entrambi grandi rinnovatori della cucina trevigiana nel dopoguerra ­ ha tutti i titoli per tornare ad essere, come già lo è stata, fra le più serie, solide, godibili e celebrate cucine italiane.

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Lodovico Pozzoserrato (Lodewijk Toeput), Vanità della ricchezza o l’avaro malinconico, 1585 ca.

 
 
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